E’ quanto sostiene il sociologo Salvatore Casillo che ha pubblicato nel suo libro “Il falso è servito” i risultati di un’indagine sulle falsificazioni alimentari promossa dal Centro Studi sul Falso e dal connesso Museo del Falso da lui stesso diretto, presso l’Università di Salerno. Il quadro che emerge da tale indagine non è molto rassicurante: dal pane alla frutta tutto il nostro menu risulta a rischio.
E non è di alcuna consolazione il fatto che il fenomeno della falsificazione alimentare è una piaga antica della cui presenza nel passato esistono importanti testimonianze e reperti: presso il Museé de la Contrefaçon dell’Union des Fabricants di Parigi, per esempio, è custodita un’anfora con inciso il nome di un produttore di vino, un tal M.C.Lassius al quale i mercanti che trasportavano il carico volevano far credere dovesse essere attribuita la paternità del vino posto nei contenitori che essi si apprestavano a commercializzare e non ai viticoltori della Narbona da cui, invece, la bevanda era stata acquistata.
L’adulterazione e la frode dominavano nel Medio Evo in modo sorprendente e i regnanti avevano un bel da fare per contrastare i “malvagi frodatori” che fabbricavano “cibi indegni” quali: carni alterate e rigonfie, burro rancido tinto con erbe e fiori, birra ottenuta con misture di bacche selvatiche. Tra il 600 e il 700, poi, accanto alla scoperta di pratiche fraudolente riguardanti il vino, fecero scalpore alcune manipolazioni dell’olio d’oliva al quale veniva aggiunto olio di papavero pericolosissimo per la salute umana.
A partire dalla seconda metà dell’800 lo smascheramento degli inganni si fece più difficile a causa del crescente contributo che la chimica aveva preso ad offrire all’industria alimentare, fornendo, da un lato, un apporto eccezionale allo sviluppo del settore ma, al contempo, rendendo disponibile per i falsari un armamentario più raffinato e di più difficile individuazione rispetto al passato. La giustizia cominciò ad avere a che fare con falsari più organizzati, più “preparati”, più spregiudicati e con meno scrupoli fino ad arrivare ai giorni nostri, epoca in cui tali malviventi si sono talmente perfezionati, anche perché spesso appoggiati e supportati dalle grosse e potenti multinazionali del settore, da poter essere considerati dei veri e propri “maghi della falsificazione alimentare”.
Le sofisticazioni alimentari possibili attualmente conosciute sono così numerose che risulta improponibile passarle in rassegna tutte quante, ma per avere un’idea della vera identità del cibo che noi consumatori ignari ed indifesi introduciamo giornalmente nel nostro organismo, possiamo fare un piccolo gioco virtuale: possiamo immaginare di entrare idealmente in un ristorante!
Ci accomodiamo intorno ad una tavola ben apparecchiata e ordiniamo un pranzo semplice e comune: un piatto di spaghetti al sugo, una bistecca, e della frutta fresca…il tutto accompagnato da una bottiglia di buon vino rosso! Dopo aver fatto l’ordinazione al cameriere non ci resta che aspettare: ma… cosa fa un italiano su 2 in attesa che gli servano il primo piatto? La risposta è immediata: nel 90% dei casi…mangia il pane!! E’ un dato certo!
Noi italiani amiamo il pane… Ma forse lo ameremmo un po’ meno se sapessimo che la farina con cui è stato impastato spesso nasconde insidie pericolose: in essa, per esempio, potremmo trovare del talco, o della creta o sabbia per aumentarne il peso, oppure, se alla fine della lavorazione fosse risultata troppo scura potrebbe aver subìto un imbiancamento artificiale ad opera di biossido di azoto o cloro o persolfato di ammonio.
Tutte sostanze chimiche poco salutari soprattutto se associate ad anomale tecniche di cottura per risparmiare sui costi di produzione come quella denunciata dal Presidente dei Panificatori di Napoli, quale l’utilizzazione di copertoni d’auto e di camion per alimentare i forni con combustibile a buon mercato. Inoltre, se ci riflettiamo un po’ su, almeno una volta nella vita, a ciascuno di noi sarà capitato di mangiare del “pane filante”, cioè quel pane con l’esterno croccante ma con la mollica un po’ attaccaticcia, sicuramente abbiamo attribuito la colpa di tale aspetto ad una “scarsa cottura” e la cosa grave è che lo abbiamo mangiato lo stesso poiché un po’di pane poco cotto in fondo, non può fare così male…
Ma purtroppo il problema di quel pane non è la scarsa cottura ma la fermentazione di alcuni batteri sporigeni (il più ricorrente è il mesentericus vulgaris) che si originano da frumento eccessivamente umido o da lievito infetto. Ma torniamo a noi che, nel nostro bel ristorante, abbiamo appena finito di svuotare avidamente il cestino del pane: il cameriere richiama la nostra attenzione, alziamo lo sguardo e ci accorgiamo che…sono arrivati gli spaghetti! I classici spaghetti al sugo per i quali noi italiani siamo così famosi all’estero ancor più che per i nostri monumenti.
Ma purtroppo anche la pasta contiene, sovente, un discreto repertorio di inganni. Il più frequente è quello costituito dalla presenza di ceneri in quantità superiore a quella concessa dalla normativa vigente e da semolato scadente. Basti pensare che prima dell’avvento di metodi di controllo alimentare più raffinati, aveva conquistato il “mercato del falso” una polverina di origine danese chiamata “Anima Compound” ottenuta dal plasma sanguigno degli animali la quale aveva il potere di nascondere al chimico la vera natura dello sfarinato. Fino a qualche anno fa era molto in voga aumentare artificiosamente il peso della pasta aggiungendo polvere di ossa calcinate o fosfato di calcio, mentre oggi fa più trend colorarla con ortene o giallo naftolo o carotene per far assumere ad essa il tipico aspetto di “pasta all’uovo”.
In questo scenario su 35.028 ispezioni condotte dai Carabinieri dei Nuclei Antisofisticazione, tra il 1990 e il 1999 in aziende molitorie, pastifici e panifici, sono state rilevate 25.256 infrazioni (di cui, il 24,2% di carattere penale), le strutture chiuse sono state 1.213 e i sequestri effettuati pari a circa 95 miliardi di lire.
Gli spaghetti che il cameriere, gentilmente, ci ha portato sono conditi con un appetitoso sugo di pomodoro. I pelati sono spesso addizionati con sostanze antisettiche non consentite come l’acido benzoico o l’acido salicilico e nella conserva o nel concentrato sono presenti anche altri vegetali quali polpa di carota o zucca uniti a gelatine, agar, dolcificanti. Da Nord a Sud dell’Italia sono state chiuse numerose aziende in quanto sono state ritrovate in esse ingenti quantità di pelati avariati, invasi da parassiti o confezionati in contenitori arrugginiti e rigonfi. Nel 1997 è stata sventata un’organizzazione criminale ramificata in tutta Italia che inviava tonnellate di pomodoro concentrato avariato ai Paesi arabi ed africani; tali conserve provenivano da scarti di lavorazione e di pulitura opportunamente rilavorati e sofisticati e destinati, ufficialmente ad essere inglobati in mangimi zootecnici.
E il dato comico è che tali aziende usufruivano anche degli incentivi (le cosiddette “restituzioni alle esportazioni”) che l’Unione Europea assegna alle imprese capaci di collocare i loro prodotti oltre i confini comunitari. Nell’ambito delle conserve vegetali, i NAS, fra il 1990 e il 1999, hanno segnalato 3.224 persone all’autorità giudiziaria e a quella amministrativa, arrestato 62 soggetti, chiuso 260 stabilimenti e sequestrato prodotti per un valore di 220 miliardi di lire. Tutti sanno che buoni o cattivi che siano i pelati, per fare un buon sugo è necessario un goccio di olio d’oliva.
Ma non tutti, forse, sono a conoscenza che per trasformare un pessimo olio ricavato da semi di diversa natura in pregiato olio extra vergine d’oliva basta un piccolissimo trucco: l’aggiunta di un goccio di clorofilla o meglio ancora di “verdone” una sostanza ottenuta dalla spremitura del seme di olivo che, addizionato in proporzione di un litro ogni dieci di olio di semi, conferisce a quest’ultimo colore, sapore, odore caratteristici dell’olio d’oliva. E’ stata, inoltre, riscontrata l’aggiunta illecita all’olio di oliva di olio di palma, che ha un basso costo ma rappresenta un’ enorme minaccia per il nostro fegato.
Per gli amanti dei numeri segnaliamo che, fra il 1990 e il 1999, i NAS, nell’ambito del settore “oli e grassi” , hanno contestato 12.247 infrazioni, effettuato 115 arresti, chiuso 392 strutture e sequestrato prodotti per un valore di 470 miliardi di lire. Ma quello delle carni è sicuramente il settore che detiene il record italiano delle falsificazioni. Gli allevatori sono spesso le prime vittime dei falsari che vendono loro mangimi scadenti o addirittura, come testimoniano le allucinanti vicende della “mucca pazza” e dei mangimi alla diossina, pericolosissimi per la vita dei consumatori. Comunque anche gli allevatori non sono esenti da colpe. Per anni agli animali sono stati somministrati per via orale o sottocutanea o intramuscolare sostanze anabolizzanti, pericolosissime per gli esseri umani, per aumentarne il peso. Ma se gli anabolizzanti sono in grado di aumentare il peso di un animale del 10% – 20%, i cosiddetti beta-agonisti, sostanze che demoliscono i depositi di grasso stimolando la produzione di proteine con conseguente aumento della massa muscolare, possono aumentare il peso dell’animale fino al 30%, con il grandissimo vantaggio che tali beta-agonisti rispetto agli anabolizzanti dopo due tre giorni dalla somministrazione non lasciano tracce facilmente rilevabili. Come se non bastasse a queste sostanze, già di per sé capaci di effetti deleteri, qualcuno non si astiene dall’aggiungere il contributo di farmaci quali cortisonici e antibiotici. I primi servono per aumentare la fame nell’animale, gli altri sono utilizzati per prevenire eventuali malattie infettive.
Il risultato è che noi consumatori, insieme alla nostra bella bistecca al sangue, introduciamo nel corpo, una certa dose di antibiotici ai quali rischiamo di assuefarci e di non reagire più nel caso in cui siamo costretti a prendere gli stessi antibiotici per terapia. Nel 1996 è stata bloccata l’attività di 25 allevamenti di conigli – sparsi in tutta Italia – nei quali la dieta di accrescimento prevedeva la somministrazione di cloramfenicolo e conglogumina cancerogeni per l’uomo e anche di stricnina utilizzata per far assimilare meglio cibo e farmaci. Si è scoperto che in alcuni allevamenti venivano applicati alle orecchie degli animali dei cerotti a rilascio lento di ormoni estrogeni; e quando non è l’allevatore a rimpinzare il manzo di ormoni, ci pensa lo stesso animale: si è visto che quando manzi e maiali vengono caricati sulla “tradotta della morte” e poi convogliati al loro “patibolo”, percepiscono che è arrivata la loro fine e, per paura, liberano enormi quantità di adrenalina che poi ci ritroviamo nel nostro hamburger fumante.
E per ottenere un bel hamburger rosso sangue dall’aspetto sano? Basta aggiungere nitrati e nitriti! E se preferiamo la carne bianca per i poveri polli le cose non vanno molto meglio: la maggior parte di questi animali non vede mai la luce del sole, è costretta a mangiare per 22 ore al giorno sotto una luce artificiale accecante mangimi di varia natura addizionati con antibiotici e ormoni e a muoversi in uno spazio ridottissimo. In alcuni pollai è stato scoperto che ai pulcini venivano somministrate ampie dosi di arsenico per stimolare la crescita al punto che in soli 47 giorni essi raggiungevano le dimensioni di polli maturi che altrimenti avrebbero raggiunto in 3 mesi. A testimoniare che il settore “carne” è quello più falsificato ci pensano numeri e statistiche: negli ultimi 10 anni sono state rinvenute 33.441 infrazioni, 160 arresti, 1.209 strutture chiuse, sequestrati prodotti per un valore complessivo di 674 miliardi di lire. Chi di noi non ricorda la mitica mela di Biancaneve? Bella, rossa, lucida…ma con un piccolo, trascurabile difetto: velenosissima! Per nostra fortuna non siamo arrivati al punto in cui se addentiamo una mela acquistata dal fruttivendolo dietro l’angolo…cadiamo nel sonno eterno… Ma forse potremmo accusare un po’ di dolori addominali a causa dei pesticidi che, involontariamente, abbiamo mangiato insieme alla bella mela, come quelli rinvenuti dai NAS nella frutta varia a Torino (1993), nelle fragole di importazione a Bologna (1994), nella lattuga a Macerata (1996). Il tasso di piacevolezza di un pranzo cresce se le portate sono accompagnate da un buon vino.
Per quanto l’Italia possa vantarsi, a ragione, di produrre vini eccellenti, non sempre tutti coloro che li acquistano devono davvero ciò che essi credono di aver comprato. Malviventi D.O.C. producono bevande che assomigliano molto al vino ma non sono vini ma vengono spacciati per tali.
Le materie prime impiegate sono le vinacce i cui estratti acquosi, ottenuti con la torchiatura, vengono addizionati con zucchero di barbabietola o di canna o con zuccheri più economici importati per l’alimentazione animale e per la preparazione di speciali alimenti per le api. Sia per via chimica che per via enzimatica il saccarosio di questi zuccheri si trasforma in glucosio e fruttosio (gli zuccheri dell’uva) fermentando in alcool. Un procedimento che, una volta concluso, non è facile da scoprire con i normali metodi di controllo correnti. Ma anche quando il vino è fatto con l’uva non è al riparo da falsificazioni. Se il titolo alcolometrico è molto elevato, essi possono essere annacquati per aumentarne il volume, e poi riportati a gradazione alcolica con aggiunta di mosti concentrati rettificati.
Se invece il tenore dello zucchero è insufficiente esso è innalzato con alcool denaturato o triclorometano (particolarmente tossico) o il famosissimo alcool metilico. Ma come facciamo noi consumatori a difenderci da questi orrori? Chi ci protegge? Secondo il sociologo Salvatore Casillo l’Italia dispone di un inefficace ed inefficiente sistema di controllo riguardante la sicurezza alimentare. All’attività dei NAS e dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi che viene definita da Casillo “encomiabile e preziosa” non corrisponde un efficiente monitoraggio da parte del Ministero della Sanità e una decisa azione del sistema giudiziario.
Il Ministero della Sanità dovrebbe pubblicare ogni anno un rapporto aggiornato, ma non lo fa regolarmente, e quando lo fa presenta dati e conclusioni ottimistiche e rassicuranti non concordanti con i dati raccolti dai Carabinieri. Inoltre, sempre secondo il sociologo, nel campo delle frodi alimentari si tende troppo facilmente a “chiudere un occhio” da parte del sistema giudiziario. Dall’inizio degli anni ’80 ad oggi le persone condannate sono state più di 3.000, su varie decine di migliaia di procedimenti avviati; oltre un quarto ha potuto beneficiare della sospensione della pena.
Così, se gli iniziali 10.000 giorni di arresto e di detenzione complessivamente comminati sono diventati 927, le primitive sanzioni economiche hanno subito tagli e sconti, e chi ha avvelenato qualcuno fornendogli prodotti alimentari carichi di sostanze nocive, invasi da parassiti, scaduti o falsificati, alla fine, ha avuto l’opportunità di cavarsela pagando mediamente poche centinaia di migliaia di lire.
Addirittura in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto i Carabinieri hanno scoperto una sorta di “Cassa Mutua” costituita dagli allevatori di bovini “gonfiati”: chi viene scoperto non parla e viene risarcito dal sequestro a spese di coloro che la fanno franca! A questo punto come dar torto al sociologo Salvatore Casillo per aver scelto di concludere il suo libro “Il Falso è servito” con un capitolo dal titolo “Falsificare conviene?”